DIRITTO ALL'IDENTITA' E ALLA PRIVACY
Il seguente documento è stato consegnato "brevi manu" alla Ministra per le Pari Opportunità, Barbara Pollastrini
E’ noto da tempo che la qualità di vita delle persone transessuali e
transgender in Italia soffre di una reale grave carenza di diritti che
contribuisce a determinare un clima di stigma
sociale nei confronti di realtà che appartengono al tessuto della società
italiana e che, per la scienza medica, rientrano all’interno di una patologia che porta il nome di “Disturbo dell’Identità di Genere (DIG)”.
Allo stato attuale
delle cose, la legge 164/82, atta a regolare il “cambio di sesso” – per come viene interpretata dalla giurisprudenza - produce nelle persone transessuali e transgender una realtà obbiettiva di
esclusione da alcune norme fondamentali che regolano la vita sociale ed
individuale dei cittadini e delle cittadine italiane.
L’asservimento della
concessione del diritto al cambio di genere e di prenome ad un intervento chirurgico
di riconversione estetico/funzionale dei genitali, procura sia alle persone
transessuali in attesa del lungo procedimento previsto
dalla citata legge 164, sia alle persone transgender che - per motivi di
equilibrio personale o di salute generale - non possano o non vogliano sottoporsi
a tale procedura, una totale assenza di privacy sia per quanto riguarda il dato sensibile della condizione di salute sia per
quanto riguarda il dato sensibile delle condizioni sessuali della
persona.
Per chi intenda e possa sottoporsi a tali interventi di chirurgia
plastica atti a rimodellare i genitali preesistenti in una forma simile a quella
del sesso opposto a quello di nascita, tale carenza di diritti si estenderà per
periodi variabili, ma mediamente superiori ai tre anni di vita, periodo
necessario per completare l’iter medico/giuridico/chirurgico previsto dalla
norma citata attualmente in vigore; per chi invece non desideri, o non possa
per ragioni di salute, sottoporsi a tale intervento, la violazione delle norme
sulla privacy risulteranno essere “a vita”.
E’ inoltre di pubblico dominio che le condizioni
transessuale e transgender soffrano - per ragioni tradizionali e culturali - di un
profondo stigma sociale.
L’assenza di normative
che coprano il diritto alla privacy del percorso di
transizione di genere sessuale, ovvero – in primis - l’assenza di documenti che,
sia per il nome, sia per l’indicativo di genere, mantengano l’assoluta
riservatezza sullo steso percorso, sia esso in fase di compimento o compiuto
senza rettificazione chirurgica dei genitali, determina una “cascata” di deficit di diritti che
minano profondamente la qualità di vita delle persone interessate:
- estrema difficoltà a trovare lavoro in presenza di documenti
d’identità, di passaporto e di codice fiscale, difformi – nell’indicativo
del prenome e/o del genere – dall’identità assunta nella vita reale,
seguendo un percorso medico standardizzato in tutto il mondo occidentale;
-
-
analoga difficoltà a trovare casa in affitto e sottoscrizione
di polizze assicurative;
-
violazione dei citati “dati
sensibili” in ogni contesto della vita sociale e pubblica (scelta del
reparto maschile o femminile nei ricoveri ospedalieri – esibizione, di
fronte al pubblico, di documenti difformi - diritto al voto a cui molte
persone transgender rinunciano in quanto, per essere espresso, obbliga ad
una verifica dell’iscrizione agli albi degli aventi diritto al voto,
separati per sesso e ben evidenziati nei seggi elettorali - acquisti con
carta di credito o similari - difficoltà per l’imbarco negli aeroporti, in
particolar modo per le linee internazionali – scelta del reparto maschile
o femminile nelle carceri - ogni altra innumerevole manifestazione che
richieda l’esposizione in pubblico dei documenti);
-
non applicazione, nel caso delle persone transgender,
delle leggi previdenziali attuali per quanto attiene al limite
pensionistico di età;
-
situazioni di profondo imbarazzo nella scelta delle toilette
pubbliche e degli spogliatoi.
Un elenco sicuramente non completo che però evidenzia come le normative attuali determinino una profonda discriminazione in quei cittadini
e cittadine italiani che - per ragioni ancora ignote rispetto all’eziogenesi
del “fenomeno” - si sviluppano con
una identità di genere opposta o intermedia, rispetto al proprio sesso
cariotipico di nascita.
I recenti “casi” della
diatriba fra l’on. Gardini e l’on. Luxuria sulla questione dell’uso delle
toilette di Montecitorio e dell’antropologa Alessia Bellucci, consigliera
nazionale di Crisalide AzioneTrans a cui è stato cancellato l’invito alla partecipazione in una scuola superiore, per trattare
il tema delle identità di genere secondo un approccio antropologico, sociologico
ed etnico, trovano appiglio per determinare tali assurde discriminazioni ed
esclusioni proprio dalla non conformità dei documenti per quanto attiene
prenome e indicativo di genere ove previsto (Codice Fiscale, nuova tessera
sanitaria e Passaporto).
Le reazioni trasversali dei media e di molti
politici italiani di entrambi gli schieramenti, quasi unanimemente favorevoli
sia alle ragioni dell’on. Luxuria, sia quelle della consigliera Bellucci, aprono uno spiraglio rispetto ai costumi della
società italiana. Sembrano maturi i tempi per poter trovare consenso nell’affermare
che l’identità di genere di una
persona sia una sommatoria di elementi di natura
psicologica, cerebrale, e forse anche genetica ed ormonale e non una semplice
constatazione dei genitali esterni al momento della nascita o del mero
patrimonio cromosomico. Sebbene sull’argomento regni
ancora sovrana l’ignoranza (e su questo tema sarebbe interessante che la
Ministra intraprendesse la strada delle pubblicità ministeriali), le
convinzioni secondo cui le persone transgender e transessuali debbano
essere esibizioniste estreme del “libero arbitrio” o, peggio, perverse, non sono più unanimi come fino
a pochi anni fa.
Questa relazione vuole quindi richiamare l’attenzione della Ministra
Pollastrini su questa nuova coscienza che, seppur lentamente, inizia a farsi
largo nell’opinione pubblica.
Inoltre si vuole evidenziare che - se neppure una laurea o il titolo di onorevole riescono a far breccia contro arcaici
pregiudizi ancora resistenti nella nostra società - ci si può immaginare quale
possa essere la qualità di vita di altre persone transgender che non godono di
altrettanta visibilità o notorietà.
Per questo motivo chiediamo che,
analogamente a quanto già avvenuto nel Regno Unito e, da pochi mesi in Spagna,
anche l’Italia si doti di una legge che preveda il cambio anagrafico sia di
prenome, sia di identificativo di genere, a
prescindere da interventi chirurgici estremi sui genitali che, almeno per
quanto riguarda i transessuali da “femmina a maschio”, risultano appartenere ad
una chirurgia sperimentale con frequenti ripercussioni sulla salute generale
delle persone che vi si sottopongono.
Attualmente, presso la Commissione II Giustizia della Camera giace il PDL N. 1245 del
29 giugno 2006 - ”Modifiche alla disciplina in materia di rettificazione di
attribuzione di sesso e di modificazione del nome”
di iniziativa dei deputati Capezzone, Beltrandi, D’Elia, Mellano, Poretti,
Turco. Tale Progetto di Legge è stato assegnato alla
commissione II Giustizia il 29 luglio 2006.
Tale progetto di legge, estremamente semplice, recepisce in pieno le istanze che
Crisalide AzioneTrans ha da tempo posto alla politica nazionale, senza avere,
fino ad oggi, ottenuto risposta.
L’articolazione del soprannominato
pdl è di soli due punti e recita:
Articolo 1
1. - Dopo il comma 1 dell’articolo 3 della legge 14 aprile 1982,
n. 164 è inserito il seguente:
«1-bis L’adeguamento
dei caratteri sessuali mediante trattamento medico-chirurgico e’ ritenuto
necessario soltanto se le modificazioni dei caratteri sessuali secondari ad
opera delle terapie ormonali e dei trattamenti di carattere estetico non sono
sufficienti a determinare il benessere e l’equilibrio psico-fisico
dell’interessato allo scopo di attribuire allo stesso un sesso diverso da
quello enunciato nell’atto di nascita.»
Articolo 2 - Dopo il comma 1 dell’articolo 89 del decreto del Presidente della
Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 è inserito il seguente:
«1-bis Fatto salvo quanto stabilito
negli articoli successivi, il nome che il richiedente intende assumere non deve
necessariamente corrispondere al sesso attribuito alla nascita.»
L’articolo 1 modifica
l’attuale legge sul “cambio di sesso” rendendo esplicita la possibilità di
riattribuzione anagrafica senza obbligo di intervento chirurgico sui genitali)
L’articolo 2 modifica il dpr 396, esplicitando che il cambio di nome,
salvo alla nascita, possa essere anche di genere diverso da quello generalmente
attribuito al proprio sesso cromosomico
A nostro parere il
combinato disposto dei due articoli potrà determinare un cambiamento epocale nella qualità di vita delle persone transgender e
transessuali, in particolar modo per quanto riguarda la facilità di inserimento
lavorativo, con ciò peraltro intraprendendo una azione positiva verso la
prostituzione transessuale, che fino ad oggi è stato per molte, l’unica
possibilità di sopravvivenza, in una famiglia che le ha abbandonate e in una
società che non ha offerto il minimo spiraglio per un altro tipo di lavoro.
Alla
Signora Ministra chiediamo pertanto di fare proprio quel progetto di legge (o
articolato analogo), inserendolo nel programma del governo.
Tanto
più alla luce della DIRETTIVA 2006/54/CE DEL PARLAMENTO
EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 5 luglio 2006 riguardante
l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento
fra uomini edonne in materia di occupazione e impiego,
che nella “considerazione n. 3” dice:
La Corte di giustizia ha ritenuto che il campo d'applicazione del
principio della parità di trattamento tra uomini e donne non possa essere limitato al divieto delle discriminazioni basate sul fatto che una
persona appartenga all'uno o all'altro sesso. Tale principio, considerato il
suo scopo e data la natura dei diritti che è inteso a salvaguardare, si applica
anche alle discriminazioni derivanti da un cambiamento di sesso.
Direttiva che dovrà essere presto recepita dal Governo Italiano e per la quale avremmo da
chiedere, ai fini della minor discrezionalità possibile, un Suo intervento che
presentiamo in nota a parte.
Auspichiamo pertanto che
la politica del Governo sappia cogliere i segni di un cambiamento di atteggiamento della popolazione che non desidera più
l’emarginazione sociale e politica delle persone transgender e transessuali, sebbene
ci si trovi di fronte comunque ampie sacche di resistenza sottoculturale.
Più spesso di quanto
non si pensi però, apparenti discriminazioni sono in realtà il prodotto
residuale di una normativa che giuridicamente rinchiude le persone transgender
in un vero e proprio “limbo giuridico” e che mette in difficoltà chi abbia a
che fare con persone transgender: di fronte a situazioni di imbarazzo
derivanti da una una palese contraddizione fra identità della persona e
documenti, spesso un datore di lavoro sceglie la via della “discriminazione”
per non sobbarcarsi un problema di gestione dell’eventuale dipendente
transgender nel quale è totalmente abbandonato dalle leggi dello stato.
Non solo: anche per
primari ospedalieri, responsabili carcerari, e tutte quelle persone che, in
assenza di normativa, sono costrette ad “inventarsi”
ogni volta una “soluzione” (in base
alla propria mentalità, e come tale, diversa da caso a caso) questo vuoto
legislativo diventa “lui stesso” il problema, ancor prima della persona trans.
Abbiamo avuto modo di
verificare quotidianamente che la maggior parte di queste figure professionali
ed istituzionali, sarebbe ben felice di avere una
normativa che li liberi dall’arbitrarietà cui la legge li costringe
attualmente.
Non vogliamo che
continuino le discriminazioni pesanti che dobbiamo quotidianamente subire ma
neppure quelle “discriminazioni positive” che, ad esempio, fanno sì che, spesso, nei
ricoveri ospedalieri, le persone transgender godano del “vantaggio” di stanze singole (e lo svantaggio dell’isolamento e di
liste di attesa allungate); vantaggio non richiesto che risponde solo
all’imbarazzo di non poter seguire le norme di legge perché sarebbe molto
pericoloso inserire, ad esempio, in un reparto maschile una donna transgender,
ma a cui neppure possono disobbedire, ricoverando la stessa in un reparto
femminile.
Chiediamo quindi
diritti civili elementari e non arbitraria benevolenza.
Infine ci permettiamo
di evidenziare che se nel nostro paese sono vietati i matrimoni omosessuali,
con le attuali normative di legge, ovvero con la legge 164/82, sarebbe
possibile per una transessuale, richiedere autorizzazione all’intervento sui
genitali, non procedere alla seconda istanza di
rettificazione anagrafica e realizzare – di fatto – un matrimonio lesbico
autorizzato dallo Stato.
E, sempre in tema di
parità di trattamento - in assenza di una legge italiana sul matrimonio
omossessuale - riterremmo accettabile un emendamento al pdl che prevedesse -
nell’improbabile caso che una persona riattribuita anagraficamente senza
intervento sui genitali, dovesse, recedere dalla sua decisione, interrompere la
terapia ormonale e generare come uomo,
un figlio con una donna, questo fatto potesse determinare automaticamente la
perdita del diritto acquisito del genere riattribuito (o in alternativa la rinuncia alla genitorialità).
Questo per evitare strumentalizzazioni da
parte di chi si opponesse ad un progetto di legge che accogliesse le nostre istanze evocando i fantasmi di improbabili “donne padri” o “uomini madri”,
in quanto sappiamo quanto fantascientifica possa essere la situazione evocata:
in genere, dopo due anni di castrazione chimica ormonale, la possibilità di un
ritorno alla fertilità è quasi azzerata.
Diverso è per i figli
avuti precedentemente alla transizione, per i quali
chiediamo il mantenimento della genitorialità ormai acquisita per il benessere
psicologico del figlio stesso, in quanto è appurato da molti studi, che figli
di genitori che hanno poi transizionato, non hanno subito gravi traumi nella
crescita, nell’adolescenza e nell’età adulta. Comunque certamente inferiori a quei figli con genitori violenti, autoritari o
caratterialmente non adeguati ad una educazione equilibrata dei bambini.
Crediamo pertanto che
il progetto di legge in questione possa essere sicuramente la base per produrre
un grande cambiamento nella qualità di vita di quei
5-10.000 cittadini italiani transgender o transessuali.
Mirella Izzo
Genova, 7 novembre
2006
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