COMUNICATO
STAMPA
28 Giugno: non si difende
Cuba nel giorno del Gay Pride
Il
28 giugno 1969, a New York, la comunità gay, lesbica e trans della
città si ribellò alle violenze della polizia locale che
aveva aggredito per l’ennesima volta gli avventori del bar Stonewall,
dando vita alla prima manifestazione omosessuale contro l’intolleranza
e la discriminazione sociale. Da quel giorno, ogni anno, in tutto il mondo
si celebra il Pride GLBT, la giornata dell’orgoglio gay, lesbico
transgender e bisessuale, la fine dell’invisibilità e l’affermazione
della loro identità in modo aperto.
Il prossimo 28 giugno a Roma avrà luogo un evento di segno molto
diverso. Il comitato “Difendiamo Cuba” ha lanciato una manifestazione
di solidarietà al regime di Fidel Castro a cui hanno aderito importanti
forze della sinistra italiana, dal PdCI a Rifondazione, da “Socialismo
2000” ad alcuni parlamentari Verdi. In questi stessi giorni, Amnesty
International continua a denunciare inascoltata sia la crescente violazione
dei diritti umani a Cuba, sia le responsabilità dell’embargo
commerciale che, strangolando l’economia cubana, viene utilizzato
come giustificazione per la repressione dei diritti ed i cui effetti negativi
sulla nutrizione, la salute, l'educazione non agevolano un percorso di
democratizzazione di Cuba.
Fra i diritti violati a Cuba ci sono quelli delle persone omosessuali
e transessuali, ancora privi della possibilità di camminare a testa
alta in un ambiente sicuro, impediti nei loro diritti fondamentali e sottoposti
al ricatto della legge. E’ per questo che non ci ha fatto per niente
piacere sapere che gran parte della sinistra italiana si ritroverà
proprio in quella data a noi così cara a difendere le politiche
di un regime che impedisce a gay, lesbiche e trans di essere se stessi
alla luce del sole.
A Cuba la combinazione fra il tradizionale machismo culturale delle aree
latine e la subordinazione ideologica dei diritti individuali a quelli
sociali tipica dei paesi del socialismo reale hanno creato una combinazione
particolarmente esplosiva per i gay.
Negli anni sessanta omosessuali e transessuali venivano spediti ai lavori
forzati. Nel 1971 il primo Congresso sull'educazione e la cultura sancì
che "le manifestazioni di omosessualità non possono essere
tollerate", con la conseguenza dell'espulsione da scuole e università
di studenti e docenti gay. Nel 1978 ai medici omosessuali venne impedito
l'esercizio della professione e lo Statuto dei lavoratori stabilì
il licenziamento dei lavoratori gay.
Nel 1980 il regime decise di allentare un po’ la pressione offrendo
alle persone omosessuali e transessuali, come ad altri soggetti considerati
antisociali, la possibilità di lasciare Cuba. L’atteggiamento
del governo cubano oscillò per alcuni anni fra repressione normativa
e una certa tolleranza effettiva.
Il codice penale del 30 aprile 1988 confermò che rendere pubblica
la propria omosessualità, così come fare "avances amorose
omosessuali", fosse punito da tre mesi ad un anno. Sfidando l’arresto,
il 28 luglio del 1994 un gruppo di gay e lesbiche, riuniti al Parco Almendares
all’Avana, diede vita alla prima Associazione Cubana Gay e Lesbica.
Nel settembre 1995, alla IV Conferenza delle Donne di Pechino, Cuba aderì
alla proposta di inserire un riferimento all’orientamento sessuale
nel documento programmatico, lasciando intravedere la possibilità
di una nuova fase. Ma non durò a lungo.
Nel 1997 il governo mise in atto un giro di vite. L’Associazione
formata nel 1994 fu sciolta e i suoi membri messi agli arresti domiciliari
per qualche tempo. Da allora non è più stato possibile realizzare
l’obiettivo della costruzione di una socialità gay alla luce
del sole. La repressione della polizia verso i luoghi d’incontro
gay, informalmente sorti all’Avana, non si è allentata. L’accesso
delle coppie dello stesso sesso ai locali pubblici è stato limitato
dalla polizia. Le retate nei locali si sono intensificate: ne hanno fatte
le spese anche il regista Pedro Almodovar e lo stilista francese Jean
Paul Gaultier, arrestati nel settembre 1997 insieme a centinaia di altri
clienti della più popolare discoteca frequentata da gay dell’Avana,
El Periquiton, e rilasciati il giorno dopo dietro il pagamento di una
multa.
Qualche settimana fa, un importante esponente dell’ambasciata cubana
in Italia ha confermato pubblicamente, rivendicandone la giustezza, la
norma per cui gli insegnanti gay sono espulsi dalle scuole cubane: un
gay in cattedra determinerebbe l’orientamento sessuale dei bambini.
Meglio il licenziamento, e per giusta causa.
L’idea che per difendere le conquiste sociali o l’indipendenza
di Cuba si debbano negare diritti civili fondamentali non ci convince
né ci piace. La libertà non è un mezzo, e la sua
violazione non può essere giustificata chiamando in causa principi
sovraordinati a cui sacrificare l’esistenza concreta di donne e
uomini. Né ci sembra accettabile l’idea che negare diritti
a gay, lesbiche e trans sia necessario per tutelare valori più
alti. Combattiamo tenacemente questa impostazione, si tratti dell’Iran
di Khatami, dell’Italia di Woityla o della Cuba di Castro.
Per questo chiediamo agli organizzatori della manifestazione in difesa
di Cuba di accogliere questa nostra richiesta: spostate la data della
manifestazione. Liberate il 28 giugno da una sovrapposizione lacerante.
Date al governo di Castro un segnale chiaro, che segni la distanza dell’opinione
pubblica italiana, anche di quella più vicina a Cuba, da un’inutile
e dolorosa repressione dell’identità di migliaia di donne
e uomini che reclamano solo di essere liberamente se stessi.
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