Ho avuto l'opportunità di leggere solo oggi la notizia pubblicata dal Vostro giornale dal titolo: "Transessuale con parrucca multato per «travestimento» - IL CASO Rispolverata una legge del 1931" nel quale si riferisce di una persona transessuale multata per "travestimento in luogo pubblico", utilizzando le disposizioni di un Regio Decreto del 1931, caduto da moltissimi anni in disuso.
A parte che tale disposizione vieta esclusivamente il "mascheramento" e non il "travestimento" (o, peggio -come si evince dall'articolo - il vestire coerentemente con la propria identità di genere di una persona transessuale) ed è quindi stato usato perlomeno in modo improprio, mi permetto di rilevare la gravità e le possibili conseguenze che questo precedente può creare nelle condizioni di vita dei e delle persone transessuali padovane ed italiane in genere.
La condizione transessuale infatti è prevista dalla legge (n.164/82), garantita in quanto tale dalla giurisprudenza attuale ispirandosi all'art. 3 della Costituzione Italiana quale "condizione umana" degna di tutela, indicata da una risoluzione europea come una condizione verso la quale vietare ogni sorta di discriminazione. L'utilizzo arbitrario (se non illecito) del R.D. citato mette gravemente in discussione principi e comportamenti da parte degli organi dello Stato che si consideravano ormai acquisiti.
Le agghiaccianti motivazioni giurisprudenziali citate dalla giornalista, secondo le quali tale Decreto è ammissibile per le persone transessuali perchè "«chi compare in pubblico con abiti femminili (...) realizza quella situazione di pericolo che si concretizza nell'ostacolo frapposto ad un pronto riconoscimento e nella maggiore facilità a compiere azioni illecite contro la pubblica moralità», appaiono evidentemente pretestuose e non Costituzionali, in quanto la persona transessuale è facilmente riconoscibile ed ha quasi sempre adeguato la propria fotografia sui documenti all'immagine attuale.
E' inoltre un' offesa gratuita e volgare alle centinaia di stimate transessuali italiane (che pagano regolari tasse anche per mantenere questo genere di istituzioni statali) che non si sono mai sognate di compiere azioni contro la pubblica moralità e che non hanno mai esercitato la prostituzione.
Ci si domanda inoltre perchè tanta preoccupazione debba investire esclusivamente transessuali e non ad esempio le tante donne che quotidianamente vestono in "abiti maschili" (gessati, jeans, camicie, ecc.).
A questo proposito mi permetto di segnalare ai "mandanti" politici dell'abuso compiuto sulla ragazza padovana che la prostituzione transessuale trae origine da profonde ed antiche discriminazioni e che si combatte realmente, correttamente e con dignità, consentendo l'accesso al lavoro alle stesse persone in transizione e favorendone l'inserimento nella società.
A tale fine sarebbe molto meglio consentire l'utilizzo anche alle persone transessuali di un altro Regio Decreto dello stesso anno, il quale prevede la possibilità di cambiare nome anagrafico quando esso arrechi vergogna a chi lo porta. Un accesso che permetterebbe a tutte le/i transessuali di potersi presentare nel mondo del lavoro (o alla ricerca di una casa) con un nome sui documenti adeguato al proprio genere sessuale e consentirebbe finalmente pari opportunità a soggetti ancor oggi fortemente ed ingiustificatamente penalizzati nei fatti sul fronte dei diritti. Per quanto riguarda il caso in questione, sarà opportuno valutare - concordemente alla vittima di questa gravissima discriminazione - gli estremi di eventuali reati o abusi correlati all'episodio.
Cordiali saluti.
Genova, li 28 luglio 2000
Mirella Izzo
Consigliere Arcitrans Nazionale
Presidente Crisalide-Arcitrans - Genova
Ufficio Nuovi Diritti di CGIL - Genova