ELOGIO DI PATRIZIA
di Delia Vaccarello
L'Unità sabato 15 ottobre 2005

un'obbligatoria premessa
di Mirella Izzo

Nell'immondizia mediatica che ha caratterizzato la commistione fra l'esperienza drammatica individuale di un dirigente di azienda (Lapo Elkann) con la sua frequentazione di persone transessuali; in mezzo a questo "pagliaio" fatto di morbosità spinta fino alla falsificazione, fatto di interventi del Garante per la Privacy che, invece di stigmatizzare il fatto che la frequentazione di persone transessuali non doveva essere trattato come una vergogna o uno scandalo (e poco importa se e quanto la frequentazione fosse mercenaria, quanto amichevole, quanto affettiva), è intervenuto esclusivamente per cercare di far tacere la verità, ovvero che Lapo Elkann frequentasse transessuali; in questa baraonda mediatica dove si è mestato nel torbido pur di evidenziare il carattere di trasgressività, se non di pericolosità sociale (vedi recente servizio delle Jene su trans e cocaina) delle persone transessuali; in mezzo a questo "pagliaio" a cui dar fuoco avrebbe avuto l'unico effetto di ripulire un'infinita massa di parole stupide, superficiali, dannose per l'immagine della condizione trans e di chiunque ci si avvicini; in mezzo a questo porcilaio abbietto e qualche tentativo disinformato di fare "informazione"; in mezzo a tutto questo spicca un'unica perla di un giornalismo che reagisce alla poltiglia bavosamente scandalizzata o divertita (a seconda dei casi) di queste settimane. E' un articolo che non racconta i retroscena immaginari ma solo l'essenza di un fatto. Uno dei fatti che più doveva essere messo in evidenza e che invece è stato ignorato da tutti, garanti compresi. E' un articolo in cui un fatto è raccontato con il sentimento dell'empatia di fronte a Patrizia, la transessuale che ha salvato la vita di Lapo Elkann e che per questo è stata associata ad ogni schifezza, trattata come un qualunque maschio "travestito" che si traveste per eccitarsi o per tirar su soldi. Molte trans vivono di prostituzione. Libera scelta? Eva Robin's a Matrix ha così sostenuto, dimostrando ancora una volta che una icona talvolta riesce a restare tale fino a che tace o parla esclusivamente del suo essere icona. Perché la verità innegabile è che qualsiasi Patrizia potrà dire di aver liberamente scelto la prostituzione solo il giorno in cui per lei sarà facile trovare lavoro come qualunque altra persona.
Quel giorno sì, le Patrizie transessuali (non travestiti) che si prostituiranno lo faranno per libera scelta. Non per demonizzare il lavoro della prostituzione (in fin dei conti è molto più dignitoso vendere il proprio corpo per dare piacere che non vendere il proprio cervello, la propria mente per costruire armi di distruzione di massa, come fanno tantissimi rispettabilissimi ingegneri), ma per denunciare la vigliaccheria di una società che da una parte ci chiude il mondo del lavoro in faccia e dall'altra si scandalizza o diverte a scrivere o realizzare servizi tv dove si vedono - toh che strano - tante trans che battono. Alle "Jene" che si divertono ad interrogare le trans straniere che lavorano in strada, ci sarebbe da chiudergli in faccia ogni opportunità di lavoro per consentir loro di capire che finirebbero per invidiare una donna o una trans, che - come estrema risorsa per sopravvivere - può accedere alla prostituzione grazie all'incontinenza libidica dei maschi. Sarebbe una bella legge del contrappasso.
Ma in tutto questo pattume questa volta ci è finita una perla. E' straordinariamente accaduto che un giornale si rendesse conto di avere una perla fra le mani e decidesse di pubblicarla. L'articolo in questione è uscito sabato 15 sull'Unità, in prima pagina. La giornalista è Delia Vaccarello, donna prima ancora che ottima giornalista, capace di mettere il cuore dove molti altri hanno saputo usare solo le terga. Capace di trasformare con un solo articolo, tutto lo sterco fino ad allora accumulato in fior di loto. Capace di comprendere, immedesimarsi e usare l'empatia piuttosto che il cinismo.
Eppure Delia non è un'eroina. E' solo una donna come molte di noi, transgender o "genetiche", che sa esprimere la sua poesia interiore in un "editoriale" che emana quella cosa di cui oggi quasi ci si vergogna, ovvero dell'assenza di torbida malizia che nasce da un cuore generoso grande grande grande.
Grazie Delia da parte mia, di Mirella Izzo e attraverso di me, grazieda parte della comunità trans italiana e - chissà probabilmente - anche per conto del silenzio prudente e delicato di Patrizia. Siamo onorati di pubblicare sulle nostre pagine il tuo articolo.
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ELOGIO DI PATRIZIA
di Delia Vaccarello
L'Unità sabato 15 ottobre 2005

“ Presto, correte, un uomo sta morendo”. Avete passato la notte insieme. Lui ha i capelli biondi, le labbra sottili, gli occhi azzurri. Tu hai le labbra carnose, il seno, i genitali maschili: sei una transessuale.
Sono le nove del mattino. Ti avvicini e ti accorgi che lui rantola. Chiami subito i soccorsi.  Se perdi un secondo, può essere troppo tardi. Sei nata in un corpo di uomo, ma ti senti donna. Hai scelto “Patrizia” come nome per la tua identità ritrovata.  Con il tuo corpo, con il tuo nome, ti senti te stessa. Non hai un pensiero per la notte e uno per il giorno. Non sei sollecita al buio e vile alla luce del sole. Non sei doppia. Sei unica, come è unica la vita di quell'uomo gentile che rischia di andarsene via.
“Correte, sta morendo”.
Eppure potresti restare stritolata in un gioco più grande di te. L'uomo da soccorrere si chiama Lapo Elkann. E'  famoso. Tra un attimo tutto il mondo ne parlerà. Ci saranno domande, le forze dell'ordine indagheranno. Tu lo sai. Hai imparato, da anni, a non curarti dello sguardo doppio di molti, anche se fa male. All'inizio ti ferisce di più, poi sempre meno. Ma fa sempre male l'aggressività degli occhi appostati  dietro  le lenti dell' ipocrisia. Ti guardano, fissano le tue  camicette scollate, le calze a rete, la tua eccezionale altezza, trasalgono al timbro della tua voce non del tutto ammorbidita dagli ormoni e ti disprezzano. Tolgono valore alla tua vita solo perché la tua immagine non è rispettabile per i benpensanti.  La vita, invece, per te ha un valore grandissimo, qualunque vita, e non importa se viene travestita dagli altri con gli abiti logori del pregiudizio o con
i panni “regali” della fama.  Lapo Elkann sta morendo, a salvare una vita non serve la fama, non servono i soldi, serve, ora, subito, una telefonata,
succeda quel che succeda. “Presto, correte, un uomo sta morendo”.
Se non conoscessi la Dignità, tu, Patrizia non saresti sopravvissuta. La dignità ha la forza di un canto che non si estingue, anche se gli altri urlano o ti accoltellano alla schiena. Ti ha dato l'energia di chi non aspetta, per sentirsi vivo, che il can can mediatico dia l'approvazione, che ti metta oggi sull'altare e ti getti domani nella polvere. Il carnevale televisivo, che troppo spesso “maschera” la vera informazione – quella sì, quanto è travestita -, parlerà di Lapo Elkann. Ne parlerà mentre Lapo sarà nella polvere in cui ci getta la vita quando non abbiamo le forze.  Ci sarà gente che camufferà morbosità e scandalizzata sorpresa alla notizia che aveva trascorso la notte con te, con te che l'hai soccorso. Ci sarà chi, alla notizia della sfortuna altrui, ammiccherà: “Ehi, hai visto con chi  era?” Ti spingeranno fuori dall'ombra con cui finora hai cercato di proteggerti. Non importa. Per te importa tirare quell'uomo gentile  fuori dalla polvere che può ricoprire la vita, in un attimo, e trasformarla in morte. “Correte, sta morendo”.
Conosco tante persone transessuali. Ad alcune mi lega un profondo sentimento di amicizia. Ne abbiamo parlato spesso su questo giornale. Cercando ogni volta di dar voce alla voce soffocata dalla coperta di pregiudizi con cui il mondo le occulta. Tutti i giorni incontriamo le persone transessuali:
lavorano in case di riposo per anziani, fanno l'animazione tra i giovani, sono esperte di informatica, alcune  leggono l'oroscopo al mattino, altre esercitano la prostituzione. Fanno i lavori di tutti. Le giovani si cercano nell'età tra le più difficili, quella dell'adolescenza. Lì dove il confine tra la morte e la nuova vita si fa sottile. Lì dove la seconda nascita, quella alla società, alla sfera “pubblica”, avviene solo grazie all'infinito coraggio di dire: “Io sono così e ho il diritto alla dignità”.  Ma se non si trova il coraggio, si muore alla vita vera.
Le persone trans interrogano se stesse per lungo tempo in una solitudine spaventosa, affinando l'orecchio alle tante solitudini. Non hanno modelli che aiutano a cercare la propria identità, trovano spesso solo un'abbondante dose di derisione. Chi riesce a trovarsi, a tenere fermo il contatto con ciò che sente, difende fino allo stremo una voce dentro di sé. Misteriosa, forse. La difende quando è fragile, quando può bastare un pizzico di difficoltà in più a zittirla per sempre. Difende la voce della vita. Quella che gli altri disprezzano, quando disprezzano. Ma chi disprezza la vita altrui, disprezza la propria. Quella che gli altri non soccorrono, se non la riconoscono in pericolo o se, percepito il pericolo, tirano diritto per la propria strada.
  Tu, Patrizia, non hai potuto farlo. Hai detto a te stessa, tanto tempo fa:
“Devo soccorrermi, altrimenti muoio”.  Hai aperto la porta di casa, di notte e di giorno, con le camicette scollate, il seno, i tacchi alti, la voce dal
timbro forte. E hai detto: “Sono viva”.
Così l'altra mattina hai detto: “Correte, Lapo Elkann sta morendo”. Hai dato voce alla giustizia. All'unica giustizia che conta. Quella che soccorre la vita.

Delia Vaccarello