Una fatwa per la libertà
Mercoledì 27 luglio 2005
The Guardian
traduzione dall'inglese: Stefano Maselli
revisione al testo: Mirella Izzo Maryam Molkara era una donna intrappolata nel corpo di un uomo. Inoltre viveva sotto la legge Islamica dell'Iran dell'Ayatollah Khomeini. Eppure, come Robert Tait racconta,la sua decisione di affrontare il leader religioso ha reso Tehran l'improbabile capitale mondiale del cambio di sesso.
Ci vorrebbe un fatto straordinario per indurre l'ultimo Ayatollah Ruhollah
Khomeini a invocare una fatwa. Lo scrittore Salman Rushdie lo ottenne mettendo in dubbio la santità del Profeta Maometto nei suoi Versetti Satanici, spingendo l'austero leader rivoluzionario iraniano a pronunciare la condanna a morte.
Per Maryam
Khatoon Molkara è stato necessario l'equivalente drammatico passo di affrontare Khomeini in persona e dimostrare, in termini di visione reale e diretta, di essere una donna intrappolata in un corpo di uomo.
Per far questo, ha dovuto sopportare un feroce pestaggio da parte delle guardie del corpo prima di giungere faccia a faccia con l'Ayatollah nel suo salotto, coperta di sangue, vestita con un completo da uomo e, grazie ad un trattamento ormonale, sfoggiando un seno femminile perfettamente formato.
"E' stato il behesht [paradiso]," Molkara, 55 anni, dice dell'incontro di 22 anni fa.
"L'atmosfera, il momento e la persona sono state il paradiso per me. Avevo la sensazione che da quel momento in poi ci sarebbe stata una sorta di luce". Luce o no, l'incontro ha prodotto, uno dopo l'altro, un giudizio religioso che -diversamente dalla condanna non realizzata a Rushdie - ha avuto un effetto duraturo che ancora ha risonanza. Perchè oggi, la Repubblica Islamica dell'Iran, occupa l'inverosimile ruolo di leader mondiale dei cambi di sesso.
In contrasto con quasi ogni altro luogo del mondo islamico, gli interventi di cambio di sesso sono legali in Iran per chiunque possa permettersi il costo minimo di £2,000 (circa 2900 €. NdT) e risulti, nei colloqui preliminari, soddisfare i necessari criteri psicologici. Come risultato, donne che hanno vissuto esperienze angosciose di infanzia ed adolescenza come ragazzi, e -sebbene in numero minore- giovani uomini che hanno raggiunto la maturità sessuale come ragazze, sono facili da trovare a Tehran. L'Iran è anche diventato una calamita per pazienti provenienti dall'Europa dell'est e dai paesi Arabi che desiderano cambiare il loro genere.
Ogni Martedì e Mercoledì mattina nella clinica di Tehran del Dott. Bahram Mir-Jalali,
giovani uomini e donne si riuniscono per prepararsi ad un nuovo inizio sul lato opposto della divisione di genere. Molti sono disperati, e vedono l'intervento come una fuga da un'identità sessuale confusa che ha condotto al rifiuto da parte dei genitori e alla persecuzione da parte della polizia e dei vigilantes religiosi.
Ali-Reza, 24 anni, truccata in modo pesante, ha dei marchi rossastri di ustione a causa del fatto che suo padre le ha gettato addosso acqua bollente furioso per la sua "devianza sessuale". "Ho tentato il suicidio tre volte" dice. "Secondo la mia famiglia avere un figlio come me era una punizione divina. I miei genitori erano religiosi e tradizionalisti e mi chiamavano feccia nel nome dell'Islam".
Altri racconti di sensazioni di rinascita spirituale dopo l'intervento. "E' come una rinascita" dice Hasti, un tempo Hassan, ora reinventata come una ventenne agile e dalle lunghe gambe che sta programmando di sposare il suo fidanzato tedesco. "Ho persino dimenticato il mio compleanno maschile. Mi ricordo soltanto quello femminile, il giorno in cui ho fatto l'intervento. E' stato molto doloroso ma sono felice, mentre prima ero sempre in lacrime".
Il Dott Mir-Jalali, 66 anni, chirurgo formatosi a Parigi, ha eseguito 320 interventi di cambio sesso negli ultimi 12 anni. Circa 250 hanno riguardato il processo complesso e fisicamente doloroso di trasformare uomini in donne creando genitali femminili attraverso un trapianto di pelle dall'intestino. In un paese Europeo, dice, avrebbe portato a termine meno di 40 interventi di quel tipo nello stesso arco di tempo. Il motivo di questa discrepanza, afferma, è la rigida messa al bando dell'omosessualità, come richiesto dal Corano.
"In Iran, l'omosessualità è considerata un crimine che è punito con la pena di morte" racconta. "In Europa e nord America, essa è accettata. I transessuali non sono omosessuali. A differenza degli omosessuali, essi soffrono di una separazione tra corpo ed anima tanto che credono che il loro stesso corpo non gli appartenga. Ma in Europa possono vivere liberamente. Non hanno la stessa pressione a cambiare sesso. In Iran, i transessuali soffrono di mancanza di consapevolezza, all'interno della loro famiglia e - più ampiamente - nella società. Questo aumenta la pressione psicologica e contribuisce a rendere più alto il numero di interventi qui."
Non di meno, la possibilità di arrivare alla chirurgia ha condotto alla liberazione di una comunità che un tempo era spaventata e confinata in una esistenza segreta e nascosta. Portare avanti questo ha necessitato un ripensamento teologico dei governanti islamici della Shia iraniana, secondo le prese di posizione rigidamente tradizionali in materia sessuale.
In effetti, gli studiosi islamici stanno ancora cercando di riconciliare la fatwa con il pensiero religioso. Hojatolislam Muhammad Mehdi Kariminia, un religioso che vive nella città sacra di Qom, sta scrivendo una tesi professorale sulla transessualità. "L'umanità di base della persona è mantenuta" è la sua conclusione. "Il cambiamento è semplicemente delle caratteristiche."
Questa situazione sarebbe stata impensabile se non per il coraggio e la costanza di Molkara, che si imbarcò in una odissea personale che le costò persecuzione ed abuso nella sua ricerca della benedizione ufficiale di Khomeini. Khomeini si era pronunciato sui problemi di genere in un libro scritto nel 1963, quando aveva dichiarato che non c'era prescrizione religiosa contro la chirurgia correttiva. Tuttavia, dice Molkara, l'affermazione si applicava soltanto agli ermafroditi, definiti come coloro che erano portatori di genitali sia maschili che femminili. Non era dunque un rimedio per coloro - come Molkara - che fisicamente appartenessero ad un genere ma fossero convinti di essere membri del sesso opposto.
Nel 1975, Molkara - che allora lavorava nella televisione iraniana e viveva con il suo nome maschile, Fereydoon - scrisse la prima di molte lettere all'Ayatollah, allora esiliato in Iraq in opposizione alla shah.
"Gli dissi che avevo sempre avuto la sensazione di essere una donna" racconta. "Gli dissi che mia madre mi aveva raccontato che persino all'età di due anni lei mi aveva trovata davanti allo specchio che mi mettevo del gesso sul viso allo stesso modo in cui una donna si mette il trucco. Lui mi rispose, dicendo che avrei dovuto seguire gli obblighi islamici di essere una donna."
Nel 1978 Molkara viaggiò sino a Parigi, dove Khomeini era all'epoca alloggiato, per fare pressione su lui stesso. Non ebbe successo e la successiva rivoluzione islamica, lontana dal rendere più semplice il percorso dei transessuali, li spinse nell'oscurità. Alcuni vennero rinchiusi nella famigerata prigione Evin di Tehran, mentre altri vennero lapidati a morte. Molkara, nel frattempo, fu licenziata da lavoro, sottoposta coattivamente a trattamento con ormoni maschili e rinchiusa in una struttura psichiatrica.
Grazie ai suoi contatti con influenti religiosi, Molkara fu rilasciata e decise di continuare a combattere. Fece pressione su diverse figure importanti del regime, compreso Akbar Hashemi Rafsanjani, che più tardi divenne presidente. Tutto quanto la spinse a scrivere nuovamente a Khomeini.
"Non potevo andare avanti in quel modo" afferma. "Sapevo che potevo ottenere l'intervento con una certa facilità a Londra, ma volevo avere i documenti così da poter vivere.". Disperatamente alla ricerca di quella benedizione religiosa che le avrebbe conferito protezione legale nell'Iran ancora solidamente islamico, Molkara decise di fare un passo fatale.
Indossando un completo maschile, si diresse al campo estremamente protetto di Khomeini nella Tehran del nord, portando con sè una copia del Corano. Come ulteriore richiamo al simbolismo religioso, si era legata le scarpe attorno al collo. Quel gesto - che richiamava Ashura, il festival di Shia che celebrava l'eroismo del terzo imam Hossein - voleva significare che lei stava cercando protezione.
Dapprima, esso fallì nel garantirgliela. Appena si avvicinò al campo, le guardie armate di sicurezza le saltarono addosso e cominciarono a picchiarla. Si fermarono soltanto quando il fratello di Khomeini, Hassan Pasandide, assistendo alla scena, intervenne e condusse Molkara nella propria casa.
Là, Molkara - all'epoca con la barba, alta e di massiccia costituzione- tentò istericamente di spiegare la propria difficile situazione. "Gridavo 'Sono una donna, sono una donna'," dice. Le guardie di sicurezza, temendo che Molkara portasse dell'esplosivo, erano preoccupate a causa della fascia attorno al suo petto. Lei la tolse per svelare il seno femminile celato da essa. Le donne nella stanza accorsero per coprirla con un chador.
A quel punto il figlio di Khomeini, Ahmad, era arrivato e si era commosso fino alle lacrime per la storia di Molkara. Nell'emozione, fu deciso di condurre Molkara al leader supremo. Nell'incontrare la figura quasi mitica nella quale ella aveva investito tale speranza, Molkara svenne.
"Fui condotta in un corridoio," Molkara racconta. "potevo udire Khomeini alzare la voce. Stava rimproverando quelli che lo circondavano, domandando come potessero maltrattare qualcuno che era venuto a chiedere protezione. Stava dicendo 'Questa persona è serva di Dio'. Nella stanza con lui c'erano tre dei suoi medici di fiducia e lui chiese quale fosse la differenza tra ermafroditi e transessuali. Cosa sono questi 'neutri in difficoltà', stava domandando. Khomeini non conosceva questa condizione fino a quel momento. Ma da qual momento in poi, ogni cosa cambiò per me."
Molkara lasciò l'accampamento di Khomeini con una lettera indirizzata al capo dei pubblici ministeri e al capo dei medici etici dando l'autorizzazione religiosa per lei - e, implicitanente, per altri come lei - a cambiare chirurgicamente il proprio genere. Era la fatwa che aveva cercato.
Conseguentemente, Molkara si sforzò di convincere le altre persone transessuali dei loro diritti e di introdurre degli standard di requisiti medici per l'operazione di cambio di sesso in Iran. Lei ha completato il proprio cambiamento di genere quattro anni fa, ironicamente sottoponendosi alla chirurgia in Tailandia poichè era scontenta delle procedure nel suo paese natale.
Oggi guida la campagna del gruppo transessuali iraniani ed è diventata la portavoce della comunità. Ma due telecamere di sicurezza nel suo salotto dimostrano la sua vulnerabilità in una società ancora intollerante rispetto a una sessualità non ortodossa. "E' dura vivere con la costante paura" dichiara. "Spero che le cose saranno più semplici per la prossima generazione di transessuali. Ogni volta che un transessuale viene arrestato dalla polizia, io vengo chiamata per scarcerarlo. Fuori dalla stazione di Polizia troverò una folla di vigilantes che mi aspettano per picchiarmi o per prendere a sassate la mia auto."
Un breve incontro con il santificato leader religioso iraniano può aver portato luce. Ma per molti iraniani l'illuminazione deve ancora sorgere. --
© Guardian Newspapers Limited 2005
L'articolo originale al link: http://www.guardian.co.uk/g2/story/0,3604,1536658,00.html
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A fatwa for freedom
Wednesday July 27, 2005
The Guardian
Maryam Molkara was a woman trapped in a man's body. She was also living under Islamic law in the Iran of Ayatollah Khomeini. Yet, as Robert Tait reports, her determination to confront the hallowed leader has made Tehran the unlikely sex-change capital of the world
It could take something extraordinary to move the late Ayatollah Ruhollah Khomeini to issue a fatwa. The novelist Salman Rushdie did it by challenging the sanctity of the Prophet Mohammed in the Satanic Verses, provoking Iran's austere revolutionary leader into pronouncing the death sentence.
For Maryam Khatoon Molkara it required the equally dramatic step of confronting Khomeini in person and proving, in graphic terms, that she was a woman trapped inside a man's body.
To do so, she had to endure a ferocious beating from bodyguards before coming face-to-face with the Ayatollah in his living room, covered in blood, dressed in a man's suit and, thanks to a course of hormone treatment, sporting fully-formed female breasts.
"It was behesht [paradise]," Molkara, 55, says of the meeting 22 years ago.
"The atmosphere, the moment and the person were paradise for me. I had the feeling that from then on there would be a sort of light." Light or not, the encounter produced, in turn, a religious judgment which - unlike the unfulfilled edict on Rushdie - has had an enduring effect that still resonates. Because today, the Islamic Republic of Iran occupies the unlikely role of global leader for sex changes
In contrast to almost everywhere else in the Muslim world, sex change operations are legal in Iran for anyone who can afford the minimum £2,000 cost and satisfy interviewers that they meet necessary psychological criteria. As a result, women who endured agonising childhood and adolescent experiences as boys, and - albeit in fewer numbers - young men who reached sexual maturity as girls, are easy to find in Tehran. Iran has even become a magnet for patients from eastern European and Arab countries seeking to change their genders.
Every Tuesday and Wednesday morning in Dr Bahram Mir-Jalali's Tehran clinic, young men and women gather in preparation for a new start on the opposite side of the gender divide. Many are desperate, seeing the operation as an escape from a confused sexual identity that has led to parental rejection and persecution by police and religious vigilantes.
Ali-Reza, 24, wearing thick make-up, has livid red burn marks on his arm after his father poured boiling water over him in a rage over his "sexual deviancy". "I have attempted suicide three times," he says. "The interpretation of my family was that having a child like me was a punishment from God. My parents were religious and traditional and they called me trash under the name of Islam."
Others voice feelings of spiritual renewal after the surgery. "It's like a rebirth," says Hasti, formerly Hassan, now reinvented as a svelte, leggy 20-year-old who is planning to marry her German fiance. "I've even forgotten my male birthday. I only remember my female birthday, the day when I received the operation. It was very painful but I feel happy whereas before I was always crying."
Dr Mir-Jalali, 66, a Paris-trained surgeon, has performed 320 gender operations in the past 12 years. Around 250 have involved the complex and physically painful process of transforming men into women by creating female genitals through a skin graft from the intestines. In a European country, he says, he would have carried out fewer than 40 such procedures over the same period. The reason for the discrepancy, he says, is Iran's strict ban on homosexuality, as required by the Qur'an.
"In Iran, homosexuality is treated as a crime carrying the death penalty," he says. "In Europe and north America, it is accepted. Transsexuals aren't homosexuals. Unlike homosexuals, they suffer from a separation of body and soul where they believe their own body doesn't belong to them. But in Europe they can have a free life. They aren't under the same pressure to change their sex. In Iran, transsexuals suffer from a lack of awareness, within their own family and in wider society. That increases the psychological pressure and contributes to the higher number of operations here."
Nevertheless, the surgery's availability has provided deliverance to a community which was once cowed and confined to a secret underground existence. Bringing it about has required a theological re-think from Iran's Shia Islamic rulers, accustomed to rigidly traditional stances on sexual matters.
Indeed, Islamic scholars are still trying to reconcile the fatwa with religious thinking. Hojatolislam Muhammad Mehdi Kariminia, a cleric based in the holy city of Qom, is writing a PhD thesis on transsexuality. "The basic humanity of the person is preserved," is his conclusion. "The change is simply of characteristics."
This situation would have been unthinkable were it not for the bravery and persistence of Molkara, who embarked on a personal odyssey that brought persecution and abuse in her quest for Khomeini's official blessing. Khomeini had pronounced on gender problems in a book written in 1963, when he indicated there was no religious proscription against corrective surgery. However, says Molkara, the statement applied only to hermaphrodites, defined as those bearing both male and female genital characteristics. It provided no remedy for those - such as Molkara - who physically belonged to one gender but were convinced that they were members of the opposite sex.
In 1975, Molkara - then working with Iranian television and going by her male name of Fereydoon - wrote the first of several letters to the Ayatollah, then exiled in Iraq in opposition to the shah.
"I told him I had always had the feeling that I was a woman," she says. "I wrote that my mother had told me that even at the age of two, she had found me in front of the mirror putting chalk on my face the same way a woman puts on her make-up. He wrote back, saying that I should follow the Islamic obligations of being a woman."
In 1978 Molkara travelled to Paris, where Khomeini was by then based, to lobby him in person. She was unsuccessful and the subsequent Islamic revolution, far from easing the transsexuals' path, cast them into darkness. Some were locked up in Tehran's notorious Evin prison while others were stoned to death. Molkara, meanwhile, was fired from her job, forcibly injected with male hormones and confined to a psychiatric institution.
Thanks to her contacts with influential clerics, Molkara was released and resolved to keep fighting. She lobbied several leading figures in the regime, including Akbar Hashemi Rafsanjani, who later became president. All urged her to write once again to Khomeini.
"I couldn't continue like this," she says. "I knew I could get the operation easily enough in London, but I wanted the documentation so I could live." Desperate for the religious blessing that would confer legal protection in staunchly Islamic Iran, Molkara decided on a fateful step.
Donning a man's suit, she walked to Khomeini's heavily protected compound in north Tehran, carrying a copy of the Qur'an. In an additional piece of religious symbolism, she had tied shoes around her neck. The gesture - redolent of Ashura, the Shia festival depicting the heroism of the third imam Hossein - was meant to convey that she was seeking shelter.
At first, it failed to provide her with any. As she approached the compound, armed security guards pounced and began beating her. They stopped only when Khomeini's brother, Hassan Pasandide, witnessing the scene, intervened and took Molkara into his house.
There, Molkara - then bearded, tall and powerfully built - hysterically tried to explain her predicament. "I was screaming, 'I'm a woman, I'm a woman'," she says. The security guards, fearing Molkara was carrying explosives, were anxious about the band wrapped around her chest. She removed it to reveal the female breasts underneath. The women in the room rushed to cover her with a chador.
By then, Khomeini's son, Ahmad, had arrived and was moved to tears by Molkara's story. Amidst the emotion, it was decided to take Molkara to the supreme leader himself. On meeting the near-mythic figure in whom she had invested such hope, Molkara fainted.
"I was taken into a corridor," Molkara says. "I could hear Khomeini raising his voice. He was blaming those around him, asking how they could mistreat someone who had come for shelter. He was saying, 'This person is God's servant.' He had three of his trusted doctors in the room and he asked what the difference was between hermaphrodites and transsexuals. What are these 'difficult-neutrals', he was saying. Khomeini didn't know about the condition until then. From that moment on, everything changed for me."
Molkara left the Khomeini compound with a letter addressed to the chief prosecutor and the head of medical ethics giving religious authorisation for her - and, by implication, others like her - to surgically change their gender. It was the fatwa she had sought.
Subsequently, Molkara struggled to convince fellow transsexuals of their rights and to introduce the requisite medical standards for sex change operations to Iran. She only completed her gender change four years ago, ironically undergoing the surgery in Thailand because of unhappiness with procedures in her native country.
Today she runs Iran's leading transsexual campaign group and has become the community's spokesperson. But two security monitors in her living room attest to her vulnerability in a society still intolerant of sexual unorthodoxy. "It is hard to live with constant fear," she says. "I hope things are easier for the next generation of transsexuals. Every time a transsexual is arrested by the police I am called to bail them out. Outside the police station there will be a crowd of vigilantes waiting to beat me or stone my car."
A brief encounter with Iran's hallowed religious leader may have brought light. But for many Iranians, enlightenment has yet to dawn.
© Guardian Newspapers Limited 2005
original article at:
http://www.guardian.co.uk/g2/story/0,3604,1536658,00.html
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