LETTERA AI MEMBRI DELLA COMMISSIONE GIUSTIZIA DELLA CAMERA IN MERITO ALL'ESCLUSIONE DELL'"IDENTITA' DI GENERE" DALLA PROTEZIONE DELLE "Norme contro le discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere". Oggetto: Norme contro le discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere. Esclusione dell’Identità di Genere
- la prima
è ritenere che le persone transgenere non subiscano le conseguenze
di uno stigma sociale con ricadute in reati di violenza fisica e verbale In qualità di presidente dell’Associazione citata, mi permetto di rispondere alle due motivazioni che sono riuscita ad immaginare (altre apparirebbero ancora meno plausibil) per far notare che – nei fatti - la cancellazione effettuata è politicamente stonata, grave, probabilmente illecita secondo le numerose pronunce di organi UE (alcune delle quali vincolanti), e forse anche anticostituzionale, se chi l’approverà non dimostrerà che le persone transessuali/transgenere vivano in uno stato di minor stigma e fragilità sociale rispetto alle altre categorie che invece entreranno a far parte delle protezioni della legge. Se è
vero che la UE non utilizza il termine “Identità di Genere”,
è altrettanto vero che da molti anni pone all’attenzione degli
Stati membri la particolare gravità della qualità di vita
delle persone transgenere/transessuali a causa di stigma sociale, semplicemente
usando termini diversi quali “transessuali” o “persone in percorso di
transizione di genere (o sesso)”. La Risoluzione n. 1117 del Parlamento Europeo del 12 settembre 1989, fra le altre cose, dichiara come “dati per scontati” che i transessuali vengono tuttora ovunque discriminati, emarginati e, a volte, addirittura criminalizzati. Ancora dichiara che la transessualità costituisce un problema psicologico e medico, ma è anche un problema della società che non sa affrontare un cambiamento dei ruoli condizionati dal sesso e fissati dalle tradizioni culturali. Considerazioni che poi sfociano in una serie di indicazioni agli Stati membri a riguardi di provvedimenti a favore delle persone transessuali sulle pari opportunità e sulla lotta allo stigma sociale da parte degli Stati membri. Se da una parte è vero che le Risoluzioni UE non sono vincolanti per gli Stati membri e che lo Stato Italiano ha tenuto conto di tale Risoluzione in termini “minimali”, dall’altra parte è altrettanto vero che sia la Corte di Giustizia Europea, sia la Corte Europea per i Diritti Umani si sono dovute pronunciare più volte a favore di diritti elementari, negati dagli Stati membri UE, alle persone transessuali (cfr, tra le altre: Sentenza della Corte del 30 aprile 1996 P. contro S. e Cornwall County Council, Sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani "Goodwin versus Regno Unito" 11 luglio 02, Sentenza della Corte di Giustizia, Sentenza della Corte Europea dei diritti Umani caso VAN KÜCK contro la GERMANIA del 12 giugno 2003). Recentemente anche il Parlamento Europeo ha dovuto specificare (perché evidentemente inattuate) che le leggi sulle pari opportunità dovrebbero valere anche per le persone transessuali/transgenere, in ogni fase del percorso di transizione. Situazione che dimostra l’esistenza di uno stigma sociale nei confronti delle persone transgenere/transessuali è unanimemente accettato in ambito UE. Il fatto che l’Italia non sia stata condannata nelle sentenze citate, non significa che vi sia applicazione di quanto sentenziato o scritto in Direttive UE. Più semplicemente dimostra una scarsa propensione italiana in ambito LGBT di utilizzare strumenti giuridici piuttosto che politici. Sarebbe, infatti, arduo dimostrare che l’Italia adotti – tra i casi citati e ad esempio - quanto previsto dalla sentenza P. contro S. e Cornwall County Council e fatta propria dalla Direttiva UE 2006/54 del 5 luglio 2006 e ancora non recepita dallo Stato Italiano. L’approvazione delle "Norme contro le discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere", presentata con l’inclusione delle persone transessuali (con il termine “identità di genere”), poi cancellata dalla Commissione, rappresenta pertanto un vulnus verso una piccola comunità particolarmente sofferente di stigma e violenza, nonostante lo status di persone sofferenti di “Disforia di Genere” (ICD 10 dell’OMS). L’”International Transgender Day of Remembrance”, organizzato annualmente da ONG e Onlus di tutto il mondo, evidenzia come da molti anni ormai l’Italia si “piazzi” al secondo posto (dopo gli USA) nella drammatica classifica dei paesi che hanno più vittime, fra le persone transgenere/transessuali, causate da odio e pregiudizio. Con i citati esempi ed altri dati a nostra disposizione, credo sarebbe pertanto difficile, per chi approverà il testo, dimostrare che le persone transessuali/transgenere non meritino le aggravanti previste dalla legge in questione per i reati d’odio e pregiudizio, che trovino origine in ragioni oggettive, obiettive, non discriminatorie e non piuttosto ideologiche e arbitrariamente discriminatorie. Se la legge sarà approvata con l’attuale testo che esclude le persone “trans”, sarà dovere dello Stato Italiano offrire l’onere della prova dell’assenza di stigma sociale e violenza nei confronti delle persone transessuali/transgenere e sarà nostro dovere (insieme a chiunque voglia condividere questa causa nella società civile) dimostrare che lo stigma e la violenza in Italia esistono e che, anzi, sono particolarmente gravi in Italia, confrontata con gli altri Paesi in ambito UE. Oneri di prova da portare a giudizio da parte degli organi nazionali e sovrannazionali competenti in materia. Purtroppo i numeri delle vittime di omicidi e/o violenze per odio o pregiudizio, in Italia, se paragonato al numero totale delle persone transgenere/transessuali (inferiore alle 10.000 persone), è talmente elevato da rendere molto facile provare la presenza di un particolarmente forte e ingiustificato stato di pregiudizio diffuso tra una parte della popolazione. Peraltro,
pur cercando di esercitare la massima fantasia, riesce difficile immaginare
una motivazione di esclusione, al di fuori di quelle elencate, che non
cada in un vizio di pregiudizio ideologico. Se, in ogni caso, lo Stato Italiano, nelle sue diverse competenze e poteri, decidesse a favore dell’esclusione dai benefici della legge in fase di approvazione delle persone transgenere/transessuali, le modifiche apportate da codesta Commissione alle Norme contro le discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere, saranno ovviamente considerate discriminatorie da parte di questa Associazione che, per dovere costitutivo, ha quello di tutelare e promuovere i diritti delle persone transgenere/transessuali. Se, invece, il problema è soltanto formale, a causa dell’utilizzo dell’espressione “identità di genere”, chiedo, come presidente dell’Associazione Culturale Crisalide AzioneTrans, un emendamento proposto dalla stessa Commissione (o, il parere favorevole ad uno proveniente eventualmente dall’Aula) che sostituisca il termine “identità di genere” con altri analoghi che però “coprano” le persone transessuali/transgenere per quanto attiene le norme della legge. Ci permettiamo di offrire qualche ipotesi: “transessuali”, “transgender (transgenere)” o, ancora meglio – visto che si parla di “categorie”, “(persone in) stato di transizione di genere in corso o completato”. Qualora i contenuti di questa istanza non dovessero essere accolti da codesta Commissione e/o dal Parlamento, questa Associazione, in solido con chiunque vorrà aderire, sarà “costretta”, per Statuto, a verificare ogni forma di opposizione al testo attualmente licenziato, presso le sedi di valutazione opportune. Ovviamente
“Crisalide” resta a disposizione per ulteriori chiarimenti o comunicazioni
utilizzando gli indirizzi, email, numeri telefonici, indicati in calce
a questa lettera. Mirella
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