(Iscrizione Albo Regionale del Volontariato n° SS-GE-51-2002)
Prot. 101/CAT/ND Del 29/10/04 |
Corso D'Italia, 25
Al Garante per la protezione dei dati personali Prof. Stefano Rodotà Piazza Monte Citorio 121 00186 Roma |
oggetto: protezione dei dati personali per le
persone in percorso di transizione sessuale.
Con la presente, l’Associazione
Crisalide Azione Trans – onlus e CGIL Nazionale, settore Nuovi Diritti, richiedono al
Garante un parere circa l’interpretazione delle leggi che non sembrano tutelare
il diritto alla privacy delle persone transessuali e transgenere in riferimento alla normativa vigente in materia di
protezione dei dati personali, ed in particolare alla definizione di “dati
sensibili”, di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
- Codice in materia di protezione dei dati personali, ed alle previsioni
relative al trattamento dei dati sensibili di cui agli articoli 20, 22 e 26 del
predetto decreto legislativo.
Com’e’ noto, l’articolo 4, comma 1,
del decreto legislativo 196/2003 definisce dati sensibili “dati
personali idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni
religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni
politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a
carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati
personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita
sessuale”;
benché gli articoli 20, 22 e 26 stabiliscano le modalità per il trattamento dei
dati sensibili rispettivamente da parte dei soggetti pubblici, di privati e
degli enti pubblici economici, l’articolo 22, comma 8, e l’articolo 26, comma 5,
vietano la diffusione dei dati idonei a
rivelare lo stato di salute da parte di quasiasi soggetto pubblico o privato, senza eccezione
alcuna.
Sia il Diagnostic and
Statistical Manual of Mental Disorders - Fourth Edition (DSM-IV)
approvato
dall’American Psychiatric Association, sia
l’International Statistical Classification of
Diseases and Related Health Problems (10th Revision) (ICD-10) dell’Organizzazione Mondiale
della Sanità, considerano la condizione transessuale e
transgenere come un disordine psichiatrico che prende il nome rispettivamente di
“Disturbo dell’Identità di Genere” (DIG) e di “Disforia di
Genere”.
A prescindere dalle valutazioni di
merito rispetto all’inquadramento nosografico delle condizioni transessuali e transgenere – allo
stato attuale – l’Organizzazione Mondiale
della Sanità inquadra a tutti gli effetti il
transessualismo ed il transgenerismo come condizioni relative alla salute di una
persona.
Le suddette Organizzazioni chiedono
pertanto al Garante di chiarire se i dati relativi alle
condizioni di transessualità e transgenerismo non siano da considerare, ai sensi
del decreto legislativo 196/2003, dati idonei a rivelare lo stato di salute
(oltre che la vita sessuale) della persona.
La Legge 14 aprile 1982, n.
164 stabilisce la procedura per ottenere la rettificazione di
attribuzione di sesso: l’articolo 1 della predetta legge stabilisce a
tale proposito che essa possa avvenire “a
seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali”
senza specificare a quali ed a quante essa si riferisca. In altri termini, la
legge non chiarisce se la rettificazione possa essere
autorizzata dal giudice in seguito a modificazione dei caratteri sessuali
primari (ovvero dei genitali) o anche solo secondari (seno, barba, disposizione
dei grassi, ecc) della persona richiedente. Non entra quindi nello specifico
riguardo l’identificazione dell’identità di genere
sessuale di una persona e se essa possa essere individuata solo nella
rettificazione dei genitali o piuttosto nell’apparenza, nello stile di vita, nel
ruolo di genere che la persona vive interiormente ed esprime nella sua vita
pubblica.
l’art. 2 che indica la procedura
“standard” per ottenere la rettificazione anagrafica non accenna alla necessità
di ricorso ad intervento di rettificazione sessuale sui genitali. Tale
articolo infatti recita: “La domanda di
rettificazione di attribuzione di sesso di cui all'art. 1 è proposta con ricorso
al tribunale del luogo dove ha residenza l'attore.
Il presidente del tribunale designa
il giudice istruttore e fissa con decreto la data per la trattazione del ricorso
e il termine per la notificazione al coniuge e ai
figli.
Al giudizio partecipa il pubblico
ministero ai sensi dell'art. 70 del codice di procedura
civile.
Quando è necessario, il giudice istruttore dispone con
ordinanza l'acquisizione di consulenza intesa ad accertare le condizioni psico-sessuali dell'interessato.
Con la sentenza che accoglie la domanda
di rettificazione di attribuzione di sesso il tribunale
ordina all'ufficiale di stato civile del comune dove fu compilato l'atto di
nascita di effettuare la rettificazione nel relativo
registro.”.
Solo l’art. 3 fa cenno ad una autorizzazione per eventuali adeguamenti medico-chirugici dei caratteri sessuali. Tale
autorizzazione, nella lettera della legge, si applica solo “quando risulti necessario” e non indica quale sia e di chi
possa essere lo stato di “necessità”. Essendo però lo spirito della legge quello
di favorire la qualità della vita delle persone transessuali e transgenere, è
possibile ritenere che la “necessità” possa essere quella di chi fa istanza e non dello Stato.
Diversi autori[1]
hanno ritenuto che la
rettificazione di attribuzione di sesso non dipenda in
senso stretto dalla modificazione dei caratteri sessuali primari, che non
sarebbe indispensabile di per sé. Tale interpretazione sarebbe peraltro conforme
alla pronuncia della Corte Costituzionale nella sentenza del 6-24 maggio 1985,
n. 161, che afferma una nozione di identità sessuale che tiene conto non
soltanto dei caratteri sessuali esterni, ma altresì di elementi di carattere
psicologico e sociale, dal quale deriva una "concezione del sesso come dato
complesso della personalità, determinato da un insieme di fattori, dei quali
deve essere agevolato o ricercato l’equilibrio, privilegiando il o i fattori
dominanti" in altri termini, “dalla lettura del testo normativo, tenuto conto
peraltro della pronuncia della Consulta, emerge la necessità di tenere in
massimo conto l’elemento psico-sessuale, in relazione
al quale il giudice dovrebbe nel caso concreto verificare lo stato delle
avvenute modificazioni dei caratteri sessuali, e, in rapporto a ciò, la
necessità o la possibilità eventuale di realizzare l’intervento medico-chirurgico: indipendentemente dalla discordanza tra
sesso anatomico da un lato, e sesso psicologico e aspetto esteriore dall’altro,
la rettificazione degli atti dello stato civile potrà essere autorizzata nei
casi in cui il soggetto transessuale abbia raggiunto quello stato di benessere
in relazione all’affermazione della propria identità sessuale cui fa riferimento
la Consulta, o allorché, per ragioni inerenti lo stato di salute, non sia
comunque possibile effettuare l’intervento chirurgico. L’intervento chirurgico
non sarebbe pertanto condizione indispensabile per la rettificazione degli atti
dello stato civile quando non necessario o non opportuno al fine dello
svolgimento della personalità dell’individuo nell’ottica dell’affermazione della sua identità sessuale
che, si ricordi, alla luce delle indicazioni della Corte Costituzionale
rappresenta la ratio della stessa legge 164/1982”[2].
Tale
orientamento tende altresì a comparire in altri ordinamenti giuridici: basti
considerare le previsioni del Gender Recognition
Act recentemente approvato dal Parlamento
britannico in seguito alle pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in Goodwin v.
Regno Unito e della Corte di Giustizia Europea in K.B. v NHS Pensions Agency.
Sebbene
in rari casi i giudici di merito abbiano disposto la
rettificazione dell’attribuzione di sesso pur in assenza di riattribuzione medico-chirurgica
sui genitali previamente autorizzata (Trib. Roma, 18
ottobre 1998), la giurisprudenza prevalente ha ritenuto - nell’incertezza della
norma - di interpretare restrittivamente la nozione di
“caratteri sessuali” di cui agli articoli 1 e 3 della legge 164/1982,
subordinando la rettificazione alla avvenuta modificazione dei caratteri
sessuali primari a mezzo di trattamento medico-chirurgico.
Occorre
tuttavia rilevare che l’intervento medico-chirurgico
costituisce in genere l’ultima fase di un più lungo trattamento cui la persona
e’ sottoposta, e che inizia molto tempo prima, quantificabile in termini di anni, con la terapia ormonale e con la modificazione dei
caratteri sessuali secondari dell’individuo. Sin da allora l’aspetto esteriore
della persona viene a mutare, in conformità con l’identità psicosessuale della stessa. In numerosi casi, inoltre, la
persona raggiunge il proprio equilibrio psichico in seguito alla modificazione
dei caratteri sessuali secondari, non rendendosi necessario da un punto di vista
clinico il trattamento medico-chirurgico. Infine, in
taluni casi, a causa delle condizioni di salute o dell’età avanzata della
persona, l’intervento medico-chirurgico non si rende
possibile.
Nelle
circostanze sopra menzionate, le persone transessuali e transgenere, il cui
sesso e nome anagrafici sono discordanti rispetto all’identità psicosessuale, all’aspetto esteriore ed al ruolo sociale, si
vedono costrette a rivelare la propria condizione in innumerevoli situazioni
della vita quotidiana; allo stesso modo, soggetti pubblici e privati terzi sono
indotti a rendere note informazioni relative alla
salute e alla vita sessuale delle persone transessuali e transgenere. A titolo
d’esempio, basti pensare alla circostanze in cui si
renda necessario esibire un documento d’identità, al posto di lavoro,
all’esercizio del diritto di voto, all’accesso a numerosi servizi pubblici nei
quali si viene identificati, talora anche in pubblico, mediante prenome e
cognome.
Per i
motivi sopra indicati, le Organizzazioni firmatarie della
presente istanza chiedono al Garante di chiarire se la
legge 164/1982 sia compatibile con le disposizioni del decreto legislativo
196/2003, e più specificamente quale interpretazione ed applicazione della legge
stessa sia conforme ai principi ed alle previsioni in materia di protezione dei
dati personali.
Chiedono inoltre se una circolare
interpretativa relativa al Decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre
2000 n. 396 ”Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato
civile, a norma dell'articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n.
127”, che vieta
espressamente la possibilità di cambiare il prenome da un genere sessuale
all’altro in età adulta, non sia altrettanto incompatibile con le norme sulla
protezione dei dati personali e della privacy, nel caso in cui l’istanza sia
proposta da persone transessuali e transgenere. Il testo di legge infatti non fa alcun riferimento a tale divieto se non –
giustamente – all’atto di nascita. Anzi l’art. 96, comma 1 del DPR cita
testualmente: “Salvo quanto disposto per le rettificazioni, chiunque vuole
cambiare il nome o aggiungere al proprio un altro nome ovvero vuole cambiare il
cognome perché ridicolo o vergognoso o perché rivela origine naturale, deve
farne domanda al prefetto della provincia del luogo di residenza o di quello
nella cui circoscrizione è situato l'ufficio dello
stato civile dove si trova l'atto di nascita al quale la richiesta si
riferisce.”
Pur non essendo specificatamente
richiesto per il cambio del prenome, ma solo per il cognome, Le si chiede se non sussista comunque, in modo particolare
per le persone che vivono in un genere opposto a quello registrato alla nascita,
una necessità impellente di
cambiare nome proprio “perché ridicolo o vergognoso”. Se il divieto imposto dalla circolare non sia di fatto
discriminatorio nei confronti di persone che non desiderano più mostrare in
pubblico un prenome in totale contrasto con la propria pubblica identità di
genere.
Le chiediamo pertanto di esprimersi
anche sulla compatibilità della circolare interpretativa che sta attualmente vietando il cambio di nome ai sensi del citato
DPR con le norme sulla privacy per quanto riguarda le persone transessuali e
transgenere.
Crediamo
infatti che solamente
l’utilizzo combinato del DPR 396/2000 e della legge 164/82 nelle
interpretazioni che abbiamo sottoposto alla Sua valutazione, possano proteggere
la privacy delle persone transgenere e transessuali sin dall’inizio del proprio
percorso di transizione.
La legge 164/82
infatti - anche nell’interpretazione che sollecitiamo al fine di renderla
compatibile con la “legge sulla privacy” - richiede tempi giudiziari che
esporrebbero per un certo periodo la condizione di persona trans* al pubblico dominio.
Riteniamo che la possibilità del
cambio di nome utilizzando il citato DPR - in attesa
del completamento dell’iter della citata legge 164/82 - sia l’unica via (seppure
parziale perché il solo cambio di nome non modifica documenti di uso frequente
quali il codice fiscale ed il passaporto) per dare la più completa protezione
della propria condizione sanitaria e sessuale, sia che intenda o possa operarsi,
sia che non intenda o non possa farlo. Il tutto senza la
necessità di ricorrere a nuove norme di legge.
Infine, ci permettiamo di sottolineare il fatto che il “Disturbo dell’Identità di
Genere” è una condizione medica verso la quale esistono ancora enormi pregiudizi
sociali che hanno gravi ricadute nella vita concreta delle persone transessuali
e transgenere. La non protezione dei propri dati sensibili pregiudicano spesso
la possibilità di ottenere lavoro e/o casa. Ed è per le ricadute sociali e di
qualità di vita delle persone transessuali e transgenere che riteniamo una Sua pronuncia favorevole particolarmente
urgente ed importante.
Nell’occasione Le porgiamo i nostri
più cordiali saluti e restiamo a Sua disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti in merito alla presente
richiesta.
Mirella Izzo
Dr. Maria Gigliola
Toniollo
(presidente
nazionale Crisalide AzioneTrans)
(responsabile nazionale CGIL Settore Nuovi Diritti)
[1] Tra gli
altri, P. Barile, Diritti
dell’uomo e libertà fondamentali, 1984,
27; M.C.
La Barbera, Transessualismo e mancata volontaria,
seppur giustificata, attuazione dell’intervento medico-chirurgico, in Dir. fam. pers., 1998, 1040; S. Patti – M.R. Will, La "rettificazione di attribuzione di sesso": prime
considerazioni, in Riv. dir. civ., 1982, 744; S. Boccaccio, Mutamento di sesso ed autorizzazione
preventiva, in Dir. fam. pers., 1991, 360; S. Fabeni, Nota all’applicazione degli artt. 158 ss. Ord.
St. Civ. Ai casi
di transessualismo, in
www.cgil.it/org.diritti/transex/parere%20.htm.
[2] S. Fabeni, cit.